Questa mattina, casualmente, ho rivisto le immagini famosissime della nota reporter ungherese che durante il suo lavoro, ha fatto uno sgambetto ad un uomo, padre con in braccio il proprio figlioletto.
Sono rimasto a pensare, fissando il muro ed immaginando la scena, che cosa può spingere ad un gesto del genere. E cioè infierire con cattiveria su un disperato con in braccio il proprio figlio che vuole salvare, Dio sa solo da cosa, dalla guerra o chissà da quale povertà.
Ho rivisto il video più volte per provare a immaginare le emozioni e i sentimenti così forti tali da voler far male, ledere la dignità, olteppasare la soglia della normale solidarietà, dimenticare che apparteniamo all’unica razza umana che abita il pianeta terra.
All’inizio ho avuto un sussulto di rabbia, di disgusto, un fremore di vendetta.
Poi, ad un tratto, ho pensato a quali sentimenti di rabbia o vendetta mi porto anch’io nel cuore, a cosa mi spinge fortemente a pensare solo a me stesso, a quali ombre, ben nascoste, conservo nella mia intimità, a quali ferite ancora sanguinanti ci sono nel mio orgoglio.
Ho avuto la percezione che tutta quella malvagità della reporter potesse, almeno in parte, appartenere anche a me, ben mascherata dai miei modi.
D’istinto ho sentito che questa immagine rappresenta nella mia vita di oggi uno spartiacque, un modo per affermare con forza che io non voglio essere come lei e che per riuscirci l’unica possibilità, in mio possesso, è cercare di essere un uomo migliore.
Continuare a cambiare me stesso, crescere umanamente, spiritualmente, professionalmente, non fermarmi, affermare, pur con tutta la mia umanità, che si PUÒ fare esperienza nella vita dei sentimenti di amore, coraggio, giustizia, umanità, temperanza, trascendenza.
Si deve, si può.